C’è una Romagna che nel silenzio delle sue valli e delle sue colline cela storie, leggende e misteri di grande fascino. Questo è un viaggio alla scoperta di storie sepolte nel passato, tra dame in abiti medievali e spade sanguinose, tra castelli abitati dai fantasmi e antichi alchimisti…
Sono partita da Rimini guidata dalla curiosità mi sono persa tra le leggende che avvolgono Santarcangelo di Romagna, San Leo e il castello di Montebello.
Santarcangelo di Romagna
Vi dico subito che mi ha rubato il cuore. È un paese delizioso, intimo e curato. È ricco di negozietti di abbigliamento originali e di botteghe artigianali dove acquistare ceste, mobili e le tradizionali tele stampate romagnole.

I balconi di Santarcangelo

Santarcangelo – Poesia di Nino Pedretti sul muro vicino alla casa natale del poeta
Ma soprattutto è dominato da un’armonia ordinata e pulita, cui concorrono balconi curati, stradine strette, antiche finestre e una vista incantevole sulla campagna circostante fino al mare.

In negozietto dove acquistare le tele stampate, in via C. Battisti vicino allo IAT

Idee per una cena insolita a Santarcangelo
Detto ciò vi starete chiedendo dov’è il mistero …

Cartellone delle Grotte Tufacee
È sotto terra, nel ventre del monte Giove, su cui poggia il paese. Un monte cavo, perché interamente scavato da 6 km di cunicoli collegati tra loro e situati a diversi livelli di profondità. Le chiamano Grotte tufacee ma in realtà, mi spiega la guida, non sono grotte ma ipogei in quanto cavità artificiali e non sono nemmeno tufacee ma costituite da arenaria (due conchiglie fossili nel soffitto testimoniano che il mare arrivava fin quassù un tempo). Formano una sorta di città parallela, che malgrado gli studi effettuati negli ultimi decenni, resta avvolta dal mistero: non se ne conosce l’origine e nemmeno la destinazione d’uso. Di certo, penso, un sistema di cunicoli così ben organizzato, con tanto di scale di collegamento e prese d’aria un senso doveva averlo!

Parete delle Grotte Tufacee
Quel che è certo è che servirono per la conservazione del vino sangiovese (che prende il nome dal monte Giove) e durante la seconda guerra mondiale come rifugio dai bombardamenti: tutta la popolazione si rifugiò qui dentro approntando pagliericci per difendersi dal freddo e dall’umidità visto che la temperatura è di 13° C costanti e il tasso di umidità si aggira sul 90%.

Ipogeo circolare con 7 nicchie
A un certo punto si arriva in una stanza circolare con le pareti scandite da 7 nicchie identiche. Tre le ipotesi fatte finora: una stanza dedicata al culto del dio Mitra, una chiesa bizantina o una stazione di sosta sulla via micaelica che collegava Mont san Michelle in Francia a Gerusalemme. Nessun documento depone per una o per l’altra ipotesi purtroppo …

Bottone del 1800 decorato con l’effigie della Regina Maria Antonietta

Giorgio, il fondatore del Museo del Bottone
Poco lontano dall’uscita dalla grotta si incontra il Museo del Bottone. La sua anima è Giorgio Gallavotti, che negli anni ha creato una collezione unica al mondo di bottoni di ogni epoca e materiale. Lui conosce a menadito la storia di ognuno e ti prende per mano per tessere, bottone dopo bottone, i fili di una storia infinita. Neanche a dirlo, sono rimasta letteralmente affascinata dai suoi racconti. Dovete sapere che ci sono bottoni simbolici, bottoni di identificazione, bottoni di seduzione e bottoni che nel corso dei secoli sono stati per così dire “coniati” per commemorare avvenimenti epocali. Così piano piano i materiali, i colori e le decorazioni tra le mani di Giorgio dischiudono le porte di un mondo guardato dall’asola di un bottone!
San Leo
Da Santarcangelo ho risalito la Valle del fiume Marecchia fino a San Leo, uno dei “Borghi più belli d’Italia” insignito della Bandiera Arancione dal Touring Club Italiano. Effettivamente, entrando la prima impressione è quella di un paese medioevale ben conservato. Il mio obiettivo però era la Rocca, fortino difensivo dall’aspetto imponente che si erge nel punto più alto del paese, quindi ho deciso di rimandare a un secondo momento la visita del paese.

Ingresso alla Rocca di San Leo, antica fortezza medievale
Una volta parcheggiata l’auto in uno dei due parcheggi che ci sono ai piedi del castello, ci sono due opzioni: si può salire a piedi fino alla rocca oppure prendere una navetta (l’ufficio turistico per concordare la corsa è nella piazzetta del paese). Io sono salita a piedi, la strada è ripida, per cui se avete bambini con voi o problemi di deambulazione vi consiglio di optare per la navetta.

Resti di catene nelle celle di prigionia di San Leo
Non essendo previste visite guidate ho girato liberamente il castello spostandomi tra le tre piazze d’armi e gli interni. Si visita la residenza ducale e vari altri ambienti militari che contengono notevoli raccolte di armi antiche e agghiaccianti celle di prigionia, ancora visitabili.
La parte più interessante del castello, però, è sicuramente l’ala che contiene la cella del conte di Cagliostro e le celle dove si consumarono le torture durante la Santa Inquisizione.

Vista panoramica sulle campagne romagnole dalla Rocca di San Leo
Alessandro Conte di Cagliostro, al secolo Giuseppe Balsamo, è uno dei personaggi più misteriosi e controversi del ‘700 europeo: alchimista e sedicente guaritore, era anche un mago, un veggente e aveva guidato la Massoneria in veste di “Gran Cofto”. Durante la sua vita aveva incantato (e truffato) le corti di mezza Europa e quando fu coinvolto nel cosiddetto “affare della collana” che diffamò la regina Maria Antonietta aprendo le porte alla rivoluzione francese, il Sant’Uffizio lo arrestò e nel 1790 lo condannò a morte per eresia. Papa Pio VI lo graziò “concedendogli” il carcere a vita nella Fortezza di San Leo, ritenuto allora un carcere di massima sicurezza.

Botola di accesso alla cella di Cagliostro

Il “letto” su cui morì Cagliostro a San Leo
Oggi visitare il “pozzetto”, com’è chiamata la cella dove Cagliostro morì il 23 agosto del 1795, mette i brividi: l’unica apertura è costituita da una botola sul soffitto, da cui i soldati calavano il cibo attenti a non guardarlo mai negli occhi per paura di esserne ipotizzati e indotti a liberare quello che doveva essere senz’altro un detenuto speciale.

Vista panoramica dalla Rocca di San Leo
Castello di Montebello
Lasciato San Leo con le grida di eretici e streghe che mi risuonano ancora in testa, ho raggiunto l’ultimo dei miei obiettivi ridiscendendo verso mare la valle del fiume Marecchia, il castello di Montebello.
La visita è guidata, dura un’oretta e costa 7 €. Non vedrete foto degli interni in questo post perché non è consentito scattare all’interno. In origine questo castello era una fortezza militare, fondata dai Romani che coniarono il nome di Mons Belli (monte della guerra) per l’attuale Montebello. Fu poi oggetto di contesa tra Montefeltro e Malatesta per la sua posizione strategica. Al decadere del potere dei Malatesta anche a causa dei dissidi sempre più volenti con lo Stato Pontificio che possedeva queste terre, il Papa vendette il castello ai conti Guidi di Bagno, attuali proprietari del castello, che vi aggiunsero un’ala residenziale e parecchi mobili pregiati, oggi in mostra.

Ingresso al castello di Azzurrina
Dagli ambienti residenziali una porta apre su un camminamento esterno con tanto di trabocchetti che conduce agli ambienti più prettamente militari, ambienti dominati da una necessità imperante: difendersi. Ecco quindi spiegate le feritoie e il foro sul pavimento da cui veniva colato olio o fuoco greco su chi provava ad assalire il castello. Questa è anche l’ala dove si consumò la leggenda di Azzurrina.
Guendalina, questo il suo vero nome, era la figlia di Ugolinuccio Malatesta, signore di Montebello. Una bambina albina, che a causa del colore dei suoi tratti rischiava la vita: nel medioevo infatti l’albinismo era segno di stregoneria. Neanche le tinture a base di erbe che la madre le applicava sui capelli riuscivano a mascherare il suo albinismo, al massimo le donavano quella sfumatura azzurrognola per cui oggi la chiamiamo Azzurrina.

Il Castello di Azzurrina a Montebello
Si dice che due guardie erano incaricate di sorvegliarla giorno e notte, tanta era la paura che il segreto uscisse dal castello e mettesse in pericolo la vita della piccola. Secondo la leggenda, il 21 giugno 1375 la bambina scese in ghiacciaia rincorrendo la sua palla di stracci e da li non tornò mai. Il corpo non fu più ritrovato ma ogni 5 anni la sua voce tornerebbe a risuonare tra le mura del castello.
A partire dal 1989 vengono effettuate registrazioni che in effetti evidenziano suoni dalla provenienza ignota, che sembrano proprio ripercorrere le ultime mosse della piccola: una palla che rimbalza, un grido poi il silenzio. Alla fine della visita vengono fatte ascoltare queste registrazioni e, vuoi l’atmosfera del castello, vuoi lo sguardo di quel quadro di Azzurrina appeso alla parete che ti guarda con gli occhioni spalancati, vuoi il rumore di sottofondo del temporale, quasi quasi viene da crederci…